venerdì 28 novembre 2008

In questi giorni ho imparato e messo in discussione molte cose. Tutta la mia vita è stata scrollata come un albero d'autunno a cui cadono delle foglie e altre invece rimangono attaccate al ramo sottile dalla linfa che gli scorre dentro. Ho visto la morte irrompere nella quotidianità come uccellini che cercano le briciole di pane e poi come un onda dirompente, ma poi ho pecepito la vita opporsi a tutto questo piccola e indifesa e poi forte come una risata e come il sole sui tetti. Ho sentito la solitudine del dolore, l'impossibilità di condividere il mio o quello altrui perchè mi esplodeva dentro e di me rimaneva solo un sottile strato attorno a tutto quello strazio. Ho ricordato di come mi sono maledetta quando mi sono resa conto di aver speso i 10 euro che mi aveva regalato nonno Peppe prima di andare in ospedale. A volte sogno ancora di ritrovarli.
Ho visto i tratti somatici di famiglia in tutte le fasi della vita e ho ricordato quelli di chi non c'era più cercandoli nella memoria fra le foto e i compleanni: baffi bianchi e gilet, sigarette e brillantina, occhi vispi e mani callose.
Lasciando che il dolore mi attraversasse e mi scavasse dentro ho fatto piazza pulita di tutti i pensieri così che mi ritornassero solo i ricordi. Mi sono chiesta quando mio padre avrebbe sorriso di nuovo, quando avrebbe preso in mano la chitarra e con le lacrime che cadevano pesanti sul pavimento senza fare rumore ho toccato i tasti bianchi del pianoforte.
Di quelli che hanno fatto la guerra e hanno patito tanto, che hanno camminato dalle Alpi a casa appena ventenni, che a Cassino ci andavano in bicicletta fumando sigarette, e a lavorare sulla Vespa con i giornali sotto il cappotto, non ce ne sono più. Quelli come te il gallo lo sentivano cantare già da svegli mentre andavano a lavorare pronti con le maniche alzate, e così hai fatto anche l'ultimo mattino. Te ne sei andato presto senza svegliare nessuno, una mattina di sole in mezzo alla pioggia lasciando un pò di te in tutti quelli che rimangono qui. Addio nonno.

domenica 23 novembre 2008

Vista dal Vesuvio

La città dalla sua imponente icona è bella e colorata. Predomina il rosso dei tetti e le strade sembrano solchi ordinati. Ieri a rendere tutto un pò più misterioso c'rea una nebbia sottile che abbracciava tutto quello che uno sguardo abituato alle brevi distanze poteva cogliere affascinato dallo spazio ampio. A me è sembrata un pò Praga. Lo so che è un pagagone azzardato, ma mi ha messo la stessa calma dello scorrere lento della Moldava su un paesaggio immobile. Sarà stato il comune denominatore del freddo o la sospensione dei pensieri davanti a uno scenario emozionante.
Lì sopra al Vesuvio mentre accompagnavo 40 ragazzi per l'Itinerario scientifico la città ha iniziato a mancarmi o a salutarmi. Non sono riuscita a distinguere.
A sinistra c'era il cono del Vesuvio, la bocca che seminò terrore e distruzione. Davanti a me la calma e nelle orecchie il silenzio che non reggevo più. Così sono andata a cercare i ragazzi e ad esaminare lapilli. Erano tutti in una enorme teca conservati in piccoli vasetti di vetro, su questi cento e più anni fa avevano scritto - chissà chi - la data con una scrittura aggraziata e elegante che mi si è palesata davanti agli occhi la scena di un gentiluomo in bianco e nero: 1860, 1833, 1896.
Giù per le curve che abbracciano il Vesuvio la città si è fatta più vera e l'immagine da cartolina è diventata caos e consuetudine, si è fatta vita brulicante di metropolitane affollate e sciarpe pesanti e strana inquietudine contraria alla calma del vulcano che dorme.

mercoledì 19 novembre 2008

La zia Santa

Se non fosse per qualche parulella penseresti a una tipica romagnola allegra ed espansiva.
La zia Santa ha la risata contagiosa e tanti capelli ricci e rossi. Nella sua casa di Napoli aveva una famiglia di Dalmata che mi sembravano enormi e alti come cavalli. Gli faceva da mangiare in grosse scodelle, è una delle poche immagini che la memoria mi restituisce. In questi frammenti di ricordi c'è lei e questa massa di capelli rossi, anche al di là della porta dell'Intercity di stamattina, ma stavolta non ho sentito la sua risata. Forse perchè mi ronzavano in testa tanti pensieri e sgomitando uno solo si è fatto spazio fra gli altri: "chissà quando ci rivedremo". E poi ogni volta che un treno con i suoi colori freddi mi scorre davanti dopo aver chiuso a me le sue porte, mi sembra porti via un pezzetto di me, lontano.

venerdì 14 novembre 2008

Spettacolare Paola Cortellesi

Nel caso in cui ve li siate persi, vi consiglio questi monologhi "La mia famiglia" di Paola Cortellesi in "Non perdiamoci di vista". Stupendi, da guardare con il fiato sospeso.


mercoledì 12 novembre 2008

E' morto il cane più brutto del mondo

Spellacchiato, malato di cancro, senza un occhio e senza una zampa. Si chiamava Gus , ma per tutti era: il cane "più brutto del mondo", e basta.
L'appellativo poteva essere scherzoso riferito a razze non propriamente aderenti ai canoni estetici secondo i giudici del "concorso", ma in questo caso il povero esserino era gravemente malato. Speriamo che almeno adesso lo lascino in pace. Ce ne sono di concorsi stupidi. Ciao Gus.

giovedì 6 novembre 2008

Ok, basta. Vado via.

Oggi ne ho abbastanza più che mai di questa città e non sono neanche uscita di casa.
Napoli è una città violenta e sporca. I suoi abitanti si incattiviscono ogni momento che salvi riusciamo a fare un passo. Vecchi e bambini hanno la faccia contratta in smorfie incazzate e dure. Non c'è nulla che vada nel verso giusto, nessuna ancora a cui aggrapparsi. Nessun sole, mare che tenga. Scura, brutta e interminabile appare la nottata.

E non voglio restar qui a perdere chances e indurirmi anche io. Non mi illudo di poter trovare un lavoro, casa, giardini pettinati e uccellini altrove, ma mi auguro di poter uscire di casa e non dovere avere occhi dappertutto mentre con il coltello in mezzo ai denti pronta a difenderti sto a contare tutte le anomalie di questa città a la maggior parte delle persone si è abituata credendole normalità.
Cosa ha di normale una città in cui poco più che dei bambini passano il loro tempo in sale giochi dopo la mezzanotte e vengono gambizzati? O una città in cui in pieno centro puoi essere scippata e ridotta in fin di vita. Questi ragazzini non sono recuperabili, mele marce come le loro madri che li hanno partoriti, come le famiglie che li hanno "allevati", pronti a far danni e a infettare anche le mele sane.
E me ne frego di un sindaco che non merita neanche la maiuscola, che con la sua voce stridula e la sua fascia tricolore inutile condanna un "atto gravissimo" e se ne sta al caldo di Palazzo San Giacomo. Abbia la decenza di andar via prima che alle prossime elezioni chiunque si presenti - compreso uno spaventapasseri o un neofascista - ci sia un plebiscito a suo favore.

Wind of change

La mattina del 5 novembre ho acceso la tv in cucina, non lo faccio mai. Gerardo Greco stava raccontando la notte più speciale della nazione più importante del globo.
Ho pensato per un momento che non ce l'avesse fatta a diventare il 44° Presidente degli Stati Uniti, poi ho avuto la conferma che il giovane, intelligente, democratico Barack Obama aveva vinto le elezioni con un ampio margine. E allora mi sono commossa. L'America cambia pagina e tutto questo non può che riflettersi sul mondo intero. Cavoli che Nazione è quella, mi stropiccio ancora gli occhi incredula ma felice.
Ora sì, Yes, we can.
...non ha un fratello mezzo italiano Obama?

lunedì 3 novembre 2008

La Carfagna querela Guzzanti

"Una nomina di scambio, una persona inadatta" scrive Guzzanti alla Carfagna, e lei lo querela.
"E' ammissibile o non ammissibile, in una democrazia ipotetica, che il capo di un governo nomini ministro persone che hanno il solo e unico merito di averlo servito, emozionato, soddisfatto personalmente?". Di certo no ma si conoscono i personaggi in questione, potevamo aspettarci altro?