domenica 23 novembre 2008

Vista dal Vesuvio

La città dalla sua imponente icona è bella e colorata. Predomina il rosso dei tetti e le strade sembrano solchi ordinati. Ieri a rendere tutto un pò più misterioso c'rea una nebbia sottile che abbracciava tutto quello che uno sguardo abituato alle brevi distanze poteva cogliere affascinato dallo spazio ampio. A me è sembrata un pò Praga. Lo so che è un pagagone azzardato, ma mi ha messo la stessa calma dello scorrere lento della Moldava su un paesaggio immobile. Sarà stato il comune denominatore del freddo o la sospensione dei pensieri davanti a uno scenario emozionante.
Lì sopra al Vesuvio mentre accompagnavo 40 ragazzi per l'Itinerario scientifico la città ha iniziato a mancarmi o a salutarmi. Non sono riuscita a distinguere.
A sinistra c'era il cono del Vesuvio, la bocca che seminò terrore e distruzione. Davanti a me la calma e nelle orecchie il silenzio che non reggevo più. Così sono andata a cercare i ragazzi e ad esaminare lapilli. Erano tutti in una enorme teca conservati in piccoli vasetti di vetro, su questi cento e più anni fa avevano scritto - chissà chi - la data con una scrittura aggraziata e elegante che mi si è palesata davanti agli occhi la scena di un gentiluomo in bianco e nero: 1860, 1833, 1896.
Giù per le curve che abbracciano il Vesuvio la città si è fatta più vera e l'immagine da cartolina è diventata caos e consuetudine, si è fatta vita brulicante di metropolitane affollate e sciarpe pesanti e strana inquietudine contraria alla calma del vulcano che dorme.