sabato 13 ottobre 2012

Il Reality di Garrone e il culto dell'apparire


Il film di Matteo Garrone "Reality" poteva essere girato ovunque ma Napoli ha fornito al regista tanti personaggi in cerca di autore, una lingua musicale come una colonna sonora, una cornice oleografata. Tutto è molto grottesco ed esagerato, una caricatura del pacchiano estremo. Ma solo qui Garrone ha potuto tratteggiare delle figure forti e unite, le donne (mamma, zie, moglie, nipote).

Il protagonista è Luciano, un uomo con il sogno di vivere l'esperienza della casa del Grande Fratello. Un po' fuori tempo lui e anche il tema, si potrebbe pensare. Proprio adesso che il Grande Fratello dopo i risultati in picchiata degli ultimi anni si è preso un anno di pausa? Il film però vuol porre l'accento su un aspetto che è insieme causa ed effetto "GF": la cultura dell'apparire a tutti i costi. Famosi per essere famosi, senza saper fare niente, senza poter dimostrare nulla se non uno stereotipo replicato mille volte sempre uguale nel suo volersi dimostrare diverso. Tutti longilinei, tutti tatuati, tutti abbronzati, tutti con un vocabolario scarno e poco da mostrare oltre la crosta.

Tutti i personaggi in cerca d'autore vengono ripresi talmente da vicino che se ne individuano i pensieri durante i lunghi silenzi. Esattamente come succede nel mondo mediatico l'attenzione schiaccia i protagonisti. Luciano riesce a fare un paio di provini per entrare nella casa dalla porta rossa di Cinecittà e si convince che lo stiano osservando. Si è convinto che lo controllino per vedere quanto è autentico in attesa di convocarlo. Lui aspira ad entrare al Grande Fratello ma nella sua testa c'è già, e da questo piccolo seme piantato nella sua testa inizia la pazzia. Perde di vista la moglie, i figli, la grande famiglia che cerca di salvarlo stringendo ancora di più le sue maglie. E quando entra di soppiatto nelle stanze e poi in giardino, dove gli altri ammiccano agli specchi per conquistare voti agli occhi dei telespettatori, nessuno si accorge di lui.