martedì 27 agosto 2013

America 2013 #7 Broadway. Scegli che spettacolo vedere

In taxi schiacciati sui sediolini in pelle nera raggiungiamo Broadway, il cuore pulsante di New York con i mille spettacoli in calendario, passiamo davanti al Moma. Abbiamo rinunciato ad andarci per via della fila che scorre lenta intorno a tutto l’edificio, “ripiegando” su un piccolo ma ben curato museo della fotografia.
La nostra mise non è delle più eleganti ma una valigia per tre settimane e due differenti temperature non può contenere tutto, si fa il possibile con una giacca e un paio di orecchini scintillanti.

Foto Marianna Sansone

Sono entusiasta di vedere uno spettacolo a Broadway, è un sogno che si avvera. Mamma mia! Poi è uno dei miei musical preferiti con la musica degli Abba e l’ambientazione su una piccola isola greca. La fila da fare per il controllo è composta per di più da turisti come noi che magari hanno programmato questa chicca nella permanenza a NY. Quando avevo scelto “Orchestra” come posti non avevo capito che saremmo stati proprio lì sotto il palco e in grado di sbirciare proprio i musicisti. Il teatro - Winter Garden - è bello e curato e lo spettacolo inizia puntuale. Da qui posso vedere gli attori/cantanti uno ad uno. Sono tutti stratosfericamente bravi. So che questa è un’industria e che sono anni che questo spettacolo va in scena, così come quelli nei teatri di tutta Broadway, ma la bravura sta nel fatto che ogni momento tutti sembra stiano facendo davvero il loro meglio, il massimo per gli spettatori.  


Quando lo spettacolo è finito non sapevo più che ore erano, Times Square avvolta in un’atmosfera fresca segnava con il suo celebre orologio la mezzanotte ma le strade erano un brulicare di persone e limousine da ogni angolo che confluivano come un fiume in piena verso chissà dove. 

Foto Marianna Sansone
Foto Marianna Sansone


L’ultima sera a NY non doveva essere sprecata neanche per una manciata di minuti e complice un piccolo languorino siamo entrati incuriositi da Bubba Gump (Shrimp e Co.), ispirato completamente a Forrest Gump. Vi sentirete proprio nel film ma andateci solo se vi piacciono i gamberi. Alla fine, arrivato il conto capirete finalmente come funziona in America con le mance, i tips. In media si lascia fra il 15% e il 20% un po’ ovunque. Da Bubba Gump troverete: lascia il 25% e più se hai mangiato meglio che da mamma! Ora è tutto chiaro. 

Foto Marianna Sansone
Foto Marianna Sansone


La cosa difficile è stato trovare un taxi che si fermasse, ma l’aspetto positivo della faccenda è che sul ciglio della strada con la mano alzata ti senti decisamente un po’ newyorkese.And that's all I got to say about that. 
Ma "domani" si riparte. Arizona we're coming!

venerdì 19 luglio 2013

America 2013 #6 Hope e Never Forget a Ground Zero



Ultimo giorno a New York, sarà dura vedere tutto quello che manca all’appello. Per velocizzare prendiamo la metro dopo aver comprato una copia del New Yorker e una del New York Times. Sulla banchina d’attesa della metro c’è un duo che suona jazz come se fossimo in un club ricercatissimo, da abito lungo.
La direzione è Wall Street. Decine di turisti fanno a gara per toccare un po’ gli attributi del toro, io penso che non sia affatto il caso. Non ho mai fatto neanche il giro sul toro della Galleria di Milano, sono del parere che un toro così sfruculiato non può portarti fortuna. Siamo in anticipo sulla tabella di marcia e sostiamo da Starbucks per un caffè. Ai semafori gli autoctoni si distinguono per questi enormi bicchieri bianchi con il tappo di plastica. Caffè lunghi, lunghissimi, con l’aggiunta di creme caramel, cannella, panna e tutto ciò che si può pensare di mettere dentro una bevanda. 

New York scorre e io sono dietro al vetro. La vedo come un film di cui mi sono subito sentita parte, come se fossi al di qua e al di là dell’”azione”. E se ti senti parte di qualcosa devi anche affrontarne le ombre.
Questo è l’angolo del mondo che ha visto l’inferno durante l’11 settembre 2001. Non c’è bisogno di indicazioni o della cartina per individuarlo. Nell’aria è rimasta la polvere e la paura di quei momenti. C’è una piccola chiesa dove hanno trovato posto uno striscione con scritto “Hope” e tanti post-it colorati con i pensieri di chi è passato lì partendo da tutti i posti del mondo. In un angolo Never Forget è cucito su una divisa da pompiere. 

La Freedom Tower non è ancora stata completata ma raccoglie lo sguardo che vaga alla ricerca delle Twin Towers che non ci sono più. Facciamo una lunga fila per entrare nel luogo di riflessione e raccoglimento che è il Memorial 9/11. Si invita al silenzio e alla riflessione in tutte le lingue del mondo. Mi tornano in mente le parole di Primo Levi: “Meditate che questo è stato”. 

I controlli sono come quelli dell’aeroporto, ci si spoglia, si passa sotto il metal detector, si attraversa ancora un percorso in costruzione e poi si arriva a scorgere gli alberi di Ground Zero. L’erba sta crescendo e gli alberi mettono le foglie. Sarà una piazza aperta un giorno, forse quando la ferita sarà un po’ più chiusa. 


Adesso ascolti il suono dell’acqua che scroscia e ti avvicini attraversando gli alberi alle due piscine. Sono enormi e quasi lo sguardo non ce la fa a includerle tutte anche se ti soffermi su una alla volta. Dove oggi ci sono queste immense fontane, fino al 10 settembre 2001 c’erano due torri con decine di piani e centinaia di persone. Ciascuna la propria aspettativa verso il futuro. Leggerne i nomi sui bordi delle due vasche ti si spezza il respiro. Sono intagliati nel metallo e puoi toccarli ma il dolore che provi non va via. Intanto l’acqua si tuffa con forza verso il centro della terra e quel suono ti si stampa nel cervello. 

Acqua come simbolo di resilienza e vita. Per dire che si è sopravvissuti.
Tra gli alberi curati e ordinati piantati intorno alle due fontane ce n’è uno un po’ più piccolo con dei sostegni, sgangherato. È un albero di pero che ha vissuto l’11/09 e quando è stato ritrovato era ridotto a qualche rametto. Così con molte cure è ritornato a crescere e a mettere rami e foglie. Ma poi sono arrivati gli uragani e allora ha passato altri momenti da dimenticare. Però è lì adesso e prova a mettere rami e foglie. È l’albero dei sopravvissuti. 

Io le Torri Gemelle preferisco ricordarle così attraverso gli occhi di Philippe Petit, il funambolo che nel '74 attraversò i 60 metri che le dividevano su di un cavo teso fra i due grattacieli.

mercoledì 3 luglio 2013

America 2013 #5 Lo strascino a New York


Per prenotare la fermata tirare la corda”, ma come?! Tutto supertecnologico e se devo scendere dal bus mi tocca tirare una corda gialla che attraversa tutto il fianco del mezzo?! Non potevo crederci. 

Secondo giorno a New York, andiamo alla 42esima strada per fare il giro di Manhattan in barca e vedere così tutte insieme: la statua della Libertà, il Ponte di Brooklyn. Il consiglio è stato del mio insegnante di inglese e ci è sembrato un buon modo per ottimizzare i tempi, visto anche il fatto che tutti gli isolotti come Ellis Island sono chiusi per manutenzione dopo l’ultimo uragano e rientreranno a pieno regime solo con il prossimo 4 luglio.
La fila è lunga e di battelli ne partono un paio all’ora. Abbiamo scelto la Semi-Cruise, perché come semprela virtù sta nel mezzo (fra il giro lunghissimo e quello breve). In fila per questa trappolona per turisti un pensiero prende forma. Più che altro una domanda: ma perché non sono mai partite le crociere nel nostro Golfo. Si potrebbero portare i turisti nell’insenatura del porto, fino a vedere nitidamente il profilo di Ischia e indicare quello di Capri e Procida senza sbagliarsi. Si potrebbero vedere da un’altra prospettiva Posillipo e Bagnoli. Raccontare che quel palazzo è il fulcro di una delle più riuscite produzioni della televisione pubblica italiana. Quella che il nonno vedeva nel suo soggiorno beige mentre mischiava le carte napoletane senza giocarci mai, e che io guardo solo adesso a quasi mille chilometri da lì e forse proprio per questo. 



Il sole oggi è proprio forte, forse per questo mi viene in mente Napoli e Un posto al sole. La fila scorre e saliti su questa barca ci accorgiamo che di posti all’aperto non ce ne sono più. Ingenuamente penso, non sarà un problema stare in piedi, quand’è che ho fatto le foto da seduta?! Fiotte di turisti cinesi – perdonatemi forse è meglio asiatici – corrono ad accaparrarsi le ultime sedie spostandole dall’interno agili come gazzelle. Il barbuto speaker della crociera nel frattempo non aveva mai smesso di parlare di quello che avevamo intorno: bla bla bla. [Questo è solo l'inizio del dramma, vi consiglio di andare avanti nella lettura]. Inizia a dirci poi che non possiamo stare, che dobbiamo scendere al piano di sotto. Forse c’è ancora qualche sedia, proviamo a vedere... Eh no, non potere portarle, dobbiamo partire, scendete al piano di sotto. 

Qualcosa di atavico appartenente al mio famoso omonimo mi porta a pensare quando tutto sembra perduto ma la reputo un’ingiustizia: niente per me, allora niente per nessuno. Così chiedo al barbuto signore che si allarma e sbraccia per farci scendere se quelle sedie davanti a me erano già lì. Il barbuto con gli occhiali scuri dice che avrebbe chiamato la polizia. E chiamala!! Call the policeeeeeee! Ho pagato fin troppi soldi per stare dientro a un vetro con la puzza di umido. Call the police men! Il barbuto si dilegua all’interno e la barca salpa. I turisti sono ammutoliti tranne la furbona che nel frattempo sta sloggiando con la sua sedia inappropiatamente spostata dopo la mia gentile segnalazione. Una scena veramente pulp che poteva continuare con il lancio della suddetta nel fiume Hudson se non se ne fosse andata dopo il mio “It’s for everyone!” (il fatto che noi non potessimo stare al piano di sopra). 




Le foto sono venute comunque bene e – come dicono tutti – la Statua della Libertà è veramente molto più piccola di come uno se la immagina. Il ponte di Brooklyn lo distingui grazie al famoso chewing-gum e ti chiedi: ma perché questo ponte e non un altro?

Al termine del viaggio qualcuno ha addirittura dato la mancia allo speaker barbuto (in vacanza siamo così spensierati da dare la mancia per qualsiasi cosa a chiunque), del resto aveva solo ciarlato tutto il tempo con battute per cui non rideva nessuno e indicato la pizzeria più antica di NY (ipotizzo un accordo fra pizzeria e barbuto con spartizione dell’introito). Io al termine del giro ho qualche foto in più e soprattutto qualche amico in più in giro per il mondo.


Il tempo stringe bisogna ottimizzare. Via al Greenwich Village dove c’è una statua di Garibaldi (Garibaldi?!), poi toccata e fuga a China Town e Little Italy (se potete veramente lasciate stare perché non c’è oramai più nulla da vedere). Doccia e poi sushi a Manhattan con annesso giro a quel paese dei balocchi che è Barnes & Noble fra libri, musica ed elettronica alleggerite dal dollaro e dall’iva. 


martedì 25 giugno 2013

America 2013 #4 Tramonto dall'Empire pensando a casa



Ho riportato lo sguardo in basso solo quando erano ormai trascorsi tre giorni a New York, ero tremendamente affascinata dall’imponenza dei palazzi, da non riuscire a contare i piani delle costruzioni. Tutto era verticalizzato verso un cielo azzurro e fresco. Quando ho guardato di nuovo in giù c’era un tombino che fumava, come quelli dei film di gangster in bianco e nero.

A NY ti ritrovi quasi per caso a Times Square, che a dirla tutta non è una piazza ma un crocevia enorme di strade con tutti i cartelloni pubblicitari colorati e i taxi gialli che sfrecciano coperti di altrettanta pubblicità. Un insieme coloratissimo. 



E passeggiando a Times Square si è fatta l’ora del primo hot dog. E come si dirà “senape”? Apriamo le braccia al junk food con slanci, fa parte integrante del viaggio.

Avevo una grande aspettativa su Central Park ed è stata totalmente ripagata. Un parco nel bel mezzo della città. Questo ti permette di essere immerso nel verde e vedere di fronte a te i grattacieli offrendoti più piani di prospettiva. Non un rumore a disturbare chi prendeva il sole, si riposava sull’erba o giocava a soft ball, oppure gli scoiattoli che scorrazzavano liberamente fra gli alberi. 


Dopo un po' di riposo sull'erba umida di Central Park ci siamo avviati all’Empire State Building, la prima delle esperienze preventivate ancora quando eravamo a Milano. Il consiglio su internet era quello di andarci al tramonto e di armarsi di pazienza per la fila. Così noi abbiamo comprato i biglietti con il salta la fila. Infatti il tempo di entrare nella affascinante e lussuosa hall (il grattacielo non è fra i più alti ma sicuramente fra i più "storici" e ospita anche molti uffici) mostrando i nostri ticket ogni 10 metri agli addetti in divisa bordeaux in men che non si dica ci siamo ritrovati con il contatore dei piani che ha segnato in rosso 80. Eravamo all'ottantesimo piano. E ci eravamo arrivati nella metà del tempo che ci impiega l’ascensore di casa mia a portarmi al sesto piano. Si aprono le porte dell’ottantesimo piano ma non siamo ancora a destinazione. La corsa è a scovare una finestra, una porzione di cielo. Ancora sei piani e siamo a destinazione. 

Da lì la città è un rincorrersi di ombre lunghe. Il sole cala e ogni grattacielo si riflette sul suo vicino. Si vedono perfettamente le street e le avenue che dividono in tanti quadratini la città. Da tutti i lati si scattano decine di foto. Il fiume, i quartieri, tutto azzurro e rosa. Qualche punta di giallo arriva dalle file di taxi ferme ai semafori. In quel mondo il pensiero mi porta in Italia, dove è notte fonda. Vorrei condividere tutta questa bellezza che mi apre il cuore. Il sole cala sul primo giorno a New York, esita un attimo e poi si tuffa oltre la linea grigia e scintillante da cui sorgono i palazzi. 


giovedì 20 giugno 2013

America 2013 #3 Che giorno è? Il tempo di vivere NY



Sera o notte di chissà quale giorno, il freddo dell’aereo e i troppi ebrei ortodossi con le loro pettinature particolari mi hanno ipnotizzato e non so più che giorno è quando arriviamo al JFK. Però il poliziotto di colore è all’inizio del suo turno, fresco come una rosa e con il più classico abbinamento panza e caffè lungo americano. Chiede cosa ci facciamo in America e quanto restiamo. Vacation è la risposta, questa la so.
In un suv verso Manhattan, la strada è tutto un insieme stromboscopico di luci che si muovono insieme al mio mal di testa. E New York riesce ad essere affascinante anche così. Eccola, cazzo. Il Gracie Inn è un B&B semplice, il grande orologio in camera segna le 22.00, in realtà sono le 5.00 del mattino per me. Crollo, riapro gli occhi che sono le 7.00, in the morning. Sempre per il grande orologio nella piccola stanza e non per me. Penso che è come quando il sabato degli anni universitari andavo a ballare, tornavo alle 6.00 del mattino e mi alzavo alle 13.00 per il pranzo. E ad accogliermi c’era la frase: “faje mezzanotte, mezzogiorno”. Il secondo pensiero è quello di mettermi qualcosa addosso e percorrere le strade di NY, scoprirla, conoscerla. Sono elettrizzata. 



Piccole aiuole curatissime presentano palazzi signorili e altissimi con uno o più portieri in divisa e sorriso d’ordinanza. Le persone camminano spedite e sicure, senza nevrosi. È una bella giornata di sole ma soffia il vento e porta con sé un bel profumo di fiori. Fiori che non conosco, sono rosa come quelli di pesco. Sono pieni, folti e profumati.  È l’ora di fare una Metrocard, la strisceremo per poter prendere l’autobus o la metro e andare da Uppertown a Downtown, da est a ovest di Manhattan. Quella che sulla cartina sembra un’appendice ritagliata da quadratini perfettamente allineati - le street e le avenue, in realtà è una superficie molto ampia. 



In tanti fanno jogging ai bordi del fiume Hudson e la primavera con tutti questi colori mi fa venire in mente che è il momento di prendere la mia reflex. Per l’occasione ho comprato una memoria aggiuntiva di 32Mb (!) e ho ripulito la vecchia da 16. Tanto spazio a disposizione e batteria full. Tolgo il tappo, accendo i motori e provo un primo scatto. Niente. La macchina non risponde. Riprovo, riprovo ancora. Faccio un tentativo con l’autoscatto, 10 secondi lunghissimi poi la macchina scatta, la sento finalmente. Ma mi vedevo tutta la vacanza a fare scatti preventivati 10 secondi prima e senza il sapore dell’attimo fuggente. Accendo, spengo. Niente. Provo così senza molte speranze a spegnere e reinserire dopo averle torte sia la batteria che la memoria. Nel frattempo accanto a me sfilano fiori bellissimi, battelli sul fiume che non posso fotografare, catturare. Non nutro molte speranze sulla ripresa della mia macchina. Invece riparte. Il primo scatto è dedicato alla panchina dove si è consumato il mio piccolo dramma e si è per fortuna anche risolto.
Ora sì che possiamo iniziare.