martedì 25 giugno 2013

America 2013 #4 Tramonto dall'Empire pensando a casa



Ho riportato lo sguardo in basso solo quando erano ormai trascorsi tre giorni a New York, ero tremendamente affascinata dall’imponenza dei palazzi, da non riuscire a contare i piani delle costruzioni. Tutto era verticalizzato verso un cielo azzurro e fresco. Quando ho guardato di nuovo in giù c’era un tombino che fumava, come quelli dei film di gangster in bianco e nero.

A NY ti ritrovi quasi per caso a Times Square, che a dirla tutta non è una piazza ma un crocevia enorme di strade con tutti i cartelloni pubblicitari colorati e i taxi gialli che sfrecciano coperti di altrettanta pubblicità. Un insieme coloratissimo. 



E passeggiando a Times Square si è fatta l’ora del primo hot dog. E come si dirà “senape”? Apriamo le braccia al junk food con slanci, fa parte integrante del viaggio.

Avevo una grande aspettativa su Central Park ed è stata totalmente ripagata. Un parco nel bel mezzo della città. Questo ti permette di essere immerso nel verde e vedere di fronte a te i grattacieli offrendoti più piani di prospettiva. Non un rumore a disturbare chi prendeva il sole, si riposava sull’erba o giocava a soft ball, oppure gli scoiattoli che scorrazzavano liberamente fra gli alberi. 


Dopo un po' di riposo sull'erba umida di Central Park ci siamo avviati all’Empire State Building, la prima delle esperienze preventivate ancora quando eravamo a Milano. Il consiglio su internet era quello di andarci al tramonto e di armarsi di pazienza per la fila. Così noi abbiamo comprato i biglietti con il salta la fila. Infatti il tempo di entrare nella affascinante e lussuosa hall (il grattacielo non è fra i più alti ma sicuramente fra i più "storici" e ospita anche molti uffici) mostrando i nostri ticket ogni 10 metri agli addetti in divisa bordeaux in men che non si dica ci siamo ritrovati con il contatore dei piani che ha segnato in rosso 80. Eravamo all'ottantesimo piano. E ci eravamo arrivati nella metà del tempo che ci impiega l’ascensore di casa mia a portarmi al sesto piano. Si aprono le porte dell’ottantesimo piano ma non siamo ancora a destinazione. La corsa è a scovare una finestra, una porzione di cielo. Ancora sei piani e siamo a destinazione. 

Da lì la città è un rincorrersi di ombre lunghe. Il sole cala e ogni grattacielo si riflette sul suo vicino. Si vedono perfettamente le street e le avenue che dividono in tanti quadratini la città. Da tutti i lati si scattano decine di foto. Il fiume, i quartieri, tutto azzurro e rosa. Qualche punta di giallo arriva dalle file di taxi ferme ai semafori. In quel mondo il pensiero mi porta in Italia, dove è notte fonda. Vorrei condividere tutta questa bellezza che mi apre il cuore. Il sole cala sul primo giorno a New York, esita un attimo e poi si tuffa oltre la linea grigia e scintillante da cui sorgono i palazzi. 


giovedì 20 giugno 2013

America 2013 #3 Che giorno è? Il tempo di vivere NY



Sera o notte di chissà quale giorno, il freddo dell’aereo e i troppi ebrei ortodossi con le loro pettinature particolari mi hanno ipnotizzato e non so più che giorno è quando arriviamo al JFK. Però il poliziotto di colore è all’inizio del suo turno, fresco come una rosa e con il più classico abbinamento panza e caffè lungo americano. Chiede cosa ci facciamo in America e quanto restiamo. Vacation è la risposta, questa la so.
In un suv verso Manhattan, la strada è tutto un insieme stromboscopico di luci che si muovono insieme al mio mal di testa. E New York riesce ad essere affascinante anche così. Eccola, cazzo. Il Gracie Inn è un B&B semplice, il grande orologio in camera segna le 22.00, in realtà sono le 5.00 del mattino per me. Crollo, riapro gli occhi che sono le 7.00, in the morning. Sempre per il grande orologio nella piccola stanza e non per me. Penso che è come quando il sabato degli anni universitari andavo a ballare, tornavo alle 6.00 del mattino e mi alzavo alle 13.00 per il pranzo. E ad accogliermi c’era la frase: “faje mezzanotte, mezzogiorno”. Il secondo pensiero è quello di mettermi qualcosa addosso e percorrere le strade di NY, scoprirla, conoscerla. Sono elettrizzata. 



Piccole aiuole curatissime presentano palazzi signorili e altissimi con uno o più portieri in divisa e sorriso d’ordinanza. Le persone camminano spedite e sicure, senza nevrosi. È una bella giornata di sole ma soffia il vento e porta con sé un bel profumo di fiori. Fiori che non conosco, sono rosa come quelli di pesco. Sono pieni, folti e profumati.  È l’ora di fare una Metrocard, la strisceremo per poter prendere l’autobus o la metro e andare da Uppertown a Downtown, da est a ovest di Manhattan. Quella che sulla cartina sembra un’appendice ritagliata da quadratini perfettamente allineati - le street e le avenue, in realtà è una superficie molto ampia. 



In tanti fanno jogging ai bordi del fiume Hudson e la primavera con tutti questi colori mi fa venire in mente che è il momento di prendere la mia reflex. Per l’occasione ho comprato una memoria aggiuntiva di 32Mb (!) e ho ripulito la vecchia da 16. Tanto spazio a disposizione e batteria full. Tolgo il tappo, accendo i motori e provo un primo scatto. Niente. La macchina non risponde. Riprovo, riprovo ancora. Faccio un tentativo con l’autoscatto, 10 secondi lunghissimi poi la macchina scatta, la sento finalmente. Ma mi vedevo tutta la vacanza a fare scatti preventivati 10 secondi prima e senza il sapore dell’attimo fuggente. Accendo, spengo. Niente. Provo così senza molte speranze a spegnere e reinserire dopo averle torte sia la batteria che la memoria. Nel frattempo accanto a me sfilano fiori bellissimi, battelli sul fiume che non posso fotografare, catturare. Non nutro molte speranze sulla ripresa della mia macchina. Invece riparte. Il primo scatto è dedicato alla panchina dove si è consumato il mio piccolo dramma e si è per fortuna anche risolto.
Ora sì che possiamo iniziare.

martedì 11 giugno 2013

America 2013 #2 - Napoli e NY, stesso parallelo



A Napoli tutti sono in maniche corte ed è facile distinguere chi viene da fuori. Il mio benvenuto è fatto di abbracci e due sfogliatelle, una riccia e una frolla. Quasi un antidoto per far ritornare in circolo la linfa giusta della città e sentirsi meno straniero. Per lo stesso motivo il tempo di tornare a casa e la sera c’è una grande rimpatriata in pizzeria. Al cameriere viene raccomandato il nostro tavolo dall’amico Gino e tutti sono felici e sazi. I primi tempi a Milano mi sorprendevo di come nella socialità non si proponesse “Andiamo a mangiare la pizza”. Noi lo usiamo anche se poi non la mangiamo la pizza. È per dire ci vediamo, stiamo insieme, parliamo e ci facciamo sicuro quattro risate.

Una chiacchierata in inglese via Skype è la strada giusta verso l’America, anche se inventi qualche parola. Inizi a scioglierti e l’orecchio si abitua. L’importante è che ad aspettarti ci sia un’altra pizza con un altro giro di persone che non vedi da tanto e ti mancano. Per aggiornarsi sulle novità e su quello che non cambia mai. Passeggiando su Piazza Medaglie d’oro notavo come nella moltitudine fosse assente una fascia d’età in particolare, la mia. I giovanissimi sono tutti lì in questa serata tiepida che annuncia l’estate. Prendono la metropolitana dalla periferia e si riversano qui. È sempre stato così, c’è la gelateria, ci sono i bar, il traffico è lento. Qualche pub nelle taverse, pizzerie pienissime dove ti danno del voi. Potevi fare su e giù via Luca Giordano sperando di incontrare qualcuno a cui avevi pensato tutta la settimana e che senza Facebook o i telefonini che iniziavano solo a spuntare nelle mani di alcuni e non di tutti, potevi solo immaginare più bello, più divertente e più alla moda di come in realtà fosse. I “grandi” poco sotto o poco sopra i 40 erano lì. Consapevoli e vestiti bene, irrimediabilmente abbronzati anche in primavera. Nel mezzo chissà dov’erano a passare quel fine settimana un po’ festivo. La mia ipotesi è che quella sia la fascia d’età degli emigranti. Milano? Roma? Londra? Dove sono i napoletani dai 25 ai 35 anni?!



Pronto Rossopomodoro? Mi servirebbe un tavolo da 10 persone, in un posto tranquillo che abbiamo una bimba piccola con noi e poi... ce la fate vedere la partita? Non è per me ma per i maschi del gruppo, lei capirà...” “E certo non si preoccupi, me la vedo io. Gennà spuost chistu tavolo! A stasera”. Avevo un nuovo amico, era bastata una telefonata. Da noi è così, questa è una ricchezza che dobbiamo coltivare e tenere viva. Infatti il tavolo era il migliore ed è venuto a salutarci e a chiederci più volte come andasse: “Tutto bene Marianna?”. Le persone entravano in continuazione e i tavoli appena vuoti venivano riempiti senza soluzione di continuità: acqua, menù, pizza, caffé. Acqua, antipasto, spaghetto scuiè sciuè, amaro.  Mentre il Napoli vinceva 2 a 0, non importa con chi.

Quando parti? E quante ore sono? Non lo so e non lo voglio sapere. Non avevo mai fatto un volo così lungo, ma tante persone lo fanno quindi si sopravvive. Il più lungo lo avevo fatto per il Portogallo (qui le 10 cose che non dimenticherò del Portogallo), due ore e mezzo. Bazzeccole. 

Quando ho cercato su Google “cosa fare nei voli intercontinentali” una delle prime parole uscite è stato “trombosi”. Tanto per stare tranquilli. “Per scongiurare la trombosi prendere mezza aspirina prima di partire”, altri consigli erano vestirsi comodi così – perché prendo sempre alla lettera i consigli che mi sembrano sensati – ho scucito addirittura un piccolo bottone della camicia. Me lo figuravo piantato nella schiena tutto il viaggio e mi immaginavo le maledizioni che mi sarei autoinflitta se non lo avessi sradicato prima del decollo. “Bevete molto e idratatevi prima di partire, in aereo ci si gonfia e disidrata” io ho bevuto fino a non poterne più e consumato la tutta la Nivea che avevo in casa versandomela addosso copiosamente. Nessuno però mi aveva detto di non accettare il cibo in aereo. Quello è la fonte principale di malesseri vari ed eventuali. Il mio consiglio è quello di tenere il solito abbigliamento, andare cauti con la crema che potrebbe servire la prossima estate ma non mangiare quelle scatolette dal packaging invitante (solo quello) offerte a bordo. Portatevi un panino, biscotti, caramelle. Ma rispondete con un sorriso e un “No grazie” all’hostess che vi porge la scatoletta con il pasto. La prima scatoletta era una specie di pizzetta, tipo una bruschetta. Sopra c’era una spatolata di pesto, sormontata da qualche pomodoro schiacciato dal formaggio con il maggiore peso specifico del mondo. La seconda scatoletta era pollo (forse) e spaghetti. Per fortuna le luci erano piuttosto basse e i miei ricordi riguardano quello che ho potuto solo intuire. 

All’ingresso sul volo intercontinentale mi sono detta: “Tutto sommato sono larghi i posti e ci si può stendere, chessaramai!”. Era la prima classe, o addirittura la premium. Proseguendo verso la coda lo scenario è cambiato. Sedili sempre più stretti e proporzionalmente più persone che si arrabbattavano con il bagaglio a mano alla ricerca anche loro di qualcosa di essenziale da cui non separarsi nello spazio fra l’accensione e lo spegnimento della spia della cintura. Alla mia destra il francese scaccolateur. Che si è ininterrottamente scaccolato per oltre 7 ore causandomi nausea e impossibilità a chiudere occhio per tutto il viaggio. Ovunque tu sia folle scaccolateur sappi che io ti aborro. Così ho visto due film che non avrei visto neanche sotto tortura: Twiligt (e chissà quale episodio della saga) e 007 Skyfall.

 

martedì 4 giugno 2013

America 2013 #1 - Out of office

È stato un decollo durato quasi una settimana, quello che il 31 maggio mi ha portato a New York, in America.
Quando ho chiuso con la piccolissima chiave in dotazione la cassettiera beige dell’ufficio l’ho fatto con la consapevolezza di non aver fatto tutto quello che dovevo, ma buona parte. Avevo acquistato due biglietti in sezione orchestra per lo spettacolo “Mamma mia!” in scena a Broadway. Avvertito tutti quelli con cui avevo progetti in corso, non si sarebbero sorpresi dell’out of office o del telefono che squilla a vuoto. Portato avanti le consegne almeno ad una settimana dopo il mio ritorno, il canale televisivo poteva non andare a nero almeno fino a giugno e senza di me. L’account facebook di Dove avrebbe continuato a postare “Segui il canale 412” ogni giorno con una notizie diversa, una località diversa, come mosso da una mano invisibile, la mia. Incamerato una buona dose di invidia e consigli utili il lasso di tempo che riuscivo a ricordarmene. Molti invece non sapevano che sarei partita, faccio così con le cose importanti. È che sono napoletana e superstiziosa e per me gli “occhi” sono peggio delle “scuppettate”. E così ho salutato la maggior parte delle persone che vedo tutti i giorni come prima di un ponte festivo piazzato nel periodo dell’anno ideale per togliersi un po’ di grigio di dosso. Niente di più.

Il 25 aprile chi doveva partire sarà partito. No. Erano tutti sul fiammante Italo che dalla stazione Garibaldi mi avrebbe riportata a Napoli. Nel passaggio dalla stazione della metropolitana alla stazione ferroviaria si vede in uno spicchio di cielo il grattacielo dell’Unicredit con la sua incredibile punta. È una delle zone di Milano che preferisco, punta in alto e ha i giardini curati. Butto sempre un occhio a quegli specchi che riflettono la luce e mi danno un forte senso di modernità e velocità.

Accanto a me in treno c’è Sara, ma ancora non so che si chiama così quando salgo sulla carrozza numero 8. Però alla fine del viaggio è come se ci fossimo sincronizzate al telefono per prenotare proprio quelo posto e fare il viaggio insieme. Come se avessimo fatto le scuole superiori insieme, stesso banco. Ci dividiamo dei tarallini e un sacchetto di patatine, le idee delle emigranti del duemila sulle città che le ospitano e quelle da dove sono partite. “Perché la Reggia di Caserta non la facciamo gestire al direttore del Louvre? Basterebbero sei mesi!”, “Ma lo sai che ci sono moltissimi pesci poveri nel Mediterranero che  sono buonissimi? Le persone non li conoscono!”. E così tutto il viaggio, mostrandosi i rispettivi progetti sul pc di Sara, perché lei è molto più geek di me e soprattutto senza far dormire nessuno nel vagone. Da Roma a Napoli, in quell’ora scarsa che separa la mia destinazione dalla sua vorrei leggere tutto quello che la mattina avevo progettato per il viaggio, ma rimando e schiaccio un pisolino.

Al posto di Sara accanto a me sale un colorato signore anziano con in mano un biglietto per il Frecciarossa delle 17.00. Ha una camicia color pesca che si chiude a stento sulla pancia e un colorito decisamente esagerato per la stagione. Parla al cellulare con il mignolo alzato e il vivavoce inserito fino a Napoli dando del lei a un interlocutore che non sapeva del suo arrivo. La interpreto come una vendetta di Montezemolo. 
In fila una signora che arriva in vacanza a guarda il termometro e con fare interrogativo mi chiede: “30 gradi?!”.

lunedì 3 giugno 2013

Nell'epoca dell'astensionismo qui l'80% è andato a votare, qualche riflessione



Calvizzano, piccolo comune della provincia di Napoli. Quei comuni in cui un marciapiede appartiene a un'amministrazione e quello di fronte a un'altra. Tutti attaccati e senza soluzione di continuità. Un'unica scuola dove votare, sotto casa mia. La cosa straordinaria è stata l'affluenza alle ultime elezioni del 26 e 27 maggio. La strada era affollata come mai prima. Due ali di persone ostruivano il passaggio di chiunque e qualunque mezzo. Bar, locali e negozi erano pieni di persone ferme lì per ore. Oltre alla sorpresa di un dato evidente in controtendenza rispetto all’intero territorio nazionale, quello che mi ha sorpreso è stata la quantità di persone anziane che raggiungevano il seggio opportunamente accompagnate. Alcune macchine erano costrette a parcheggiare anche molto distante e pian pianino raggiungevano la Scuola per poter votare. Una macchina, due, tre, quattro. Domenica pomeriggio e lunedì le macchine evidentemente non bastavano più.  Sono arrivati piccoli autobus con residenti sempre più in là con gli anni, alcuni con difficoltà motorie. 

Non so per chi abbiano votato questi “nonni” di tutti, di tutti noi. Non lo so e non mi interessa. Leggo però che l’affluenza al voto nel Comune di Calvizzano di Napoli è stata dell’80,58 %. 7.987 votanti su un totale 9.911. Con quattro liste in competizione è normale che un solo voto potesse fare la differenza. Speriamo che i nonni ci abbiano visto giusto.  Le percentuali dei votanti sono disponibili sul sito del Ministero dell’Interno e vedremo cosa succederà.