venerdì 19 luglio 2013

America 2013 #6 Hope e Never Forget a Ground Zero



Ultimo giorno a New York, sarà dura vedere tutto quello che manca all’appello. Per velocizzare prendiamo la metro dopo aver comprato una copia del New Yorker e una del New York Times. Sulla banchina d’attesa della metro c’è un duo che suona jazz come se fossimo in un club ricercatissimo, da abito lungo.
La direzione è Wall Street. Decine di turisti fanno a gara per toccare un po’ gli attributi del toro, io penso che non sia affatto il caso. Non ho mai fatto neanche il giro sul toro della Galleria di Milano, sono del parere che un toro così sfruculiato non può portarti fortuna. Siamo in anticipo sulla tabella di marcia e sostiamo da Starbucks per un caffè. Ai semafori gli autoctoni si distinguono per questi enormi bicchieri bianchi con il tappo di plastica. Caffè lunghi, lunghissimi, con l’aggiunta di creme caramel, cannella, panna e tutto ciò che si può pensare di mettere dentro una bevanda. 

New York scorre e io sono dietro al vetro. La vedo come un film di cui mi sono subito sentita parte, come se fossi al di qua e al di là dell’”azione”. E se ti senti parte di qualcosa devi anche affrontarne le ombre.
Questo è l’angolo del mondo che ha visto l’inferno durante l’11 settembre 2001. Non c’è bisogno di indicazioni o della cartina per individuarlo. Nell’aria è rimasta la polvere e la paura di quei momenti. C’è una piccola chiesa dove hanno trovato posto uno striscione con scritto “Hope” e tanti post-it colorati con i pensieri di chi è passato lì partendo da tutti i posti del mondo. In un angolo Never Forget è cucito su una divisa da pompiere. 

La Freedom Tower non è ancora stata completata ma raccoglie lo sguardo che vaga alla ricerca delle Twin Towers che non ci sono più. Facciamo una lunga fila per entrare nel luogo di riflessione e raccoglimento che è il Memorial 9/11. Si invita al silenzio e alla riflessione in tutte le lingue del mondo. Mi tornano in mente le parole di Primo Levi: “Meditate che questo è stato”. 

I controlli sono come quelli dell’aeroporto, ci si spoglia, si passa sotto il metal detector, si attraversa ancora un percorso in costruzione e poi si arriva a scorgere gli alberi di Ground Zero. L’erba sta crescendo e gli alberi mettono le foglie. Sarà una piazza aperta un giorno, forse quando la ferita sarà un po’ più chiusa. 


Adesso ascolti il suono dell’acqua che scroscia e ti avvicini attraversando gli alberi alle due piscine. Sono enormi e quasi lo sguardo non ce la fa a includerle tutte anche se ti soffermi su una alla volta. Dove oggi ci sono queste immense fontane, fino al 10 settembre 2001 c’erano due torri con decine di piani e centinaia di persone. Ciascuna la propria aspettativa verso il futuro. Leggerne i nomi sui bordi delle due vasche ti si spezza il respiro. Sono intagliati nel metallo e puoi toccarli ma il dolore che provi non va via. Intanto l’acqua si tuffa con forza verso il centro della terra e quel suono ti si stampa nel cervello. 

Acqua come simbolo di resilienza e vita. Per dire che si è sopravvissuti.
Tra gli alberi curati e ordinati piantati intorno alle due fontane ce n’è uno un po’ più piccolo con dei sostegni, sgangherato. È un albero di pero che ha vissuto l’11/09 e quando è stato ritrovato era ridotto a qualche rametto. Così con molte cure è ritornato a crescere e a mettere rami e foglie. Ma poi sono arrivati gli uragani e allora ha passato altri momenti da dimenticare. Però è lì adesso e prova a mettere rami e foglie. È l’albero dei sopravvissuti. 

Io le Torri Gemelle preferisco ricordarle così attraverso gli occhi di Philippe Petit, il funambolo che nel '74 attraversò i 60 metri che le dividevano su di un cavo teso fra i due grattacieli.

mercoledì 3 luglio 2013

America 2013 #5 Lo strascino a New York


Per prenotare la fermata tirare la corda”, ma come?! Tutto supertecnologico e se devo scendere dal bus mi tocca tirare una corda gialla che attraversa tutto il fianco del mezzo?! Non potevo crederci. 

Secondo giorno a New York, andiamo alla 42esima strada per fare il giro di Manhattan in barca e vedere così tutte insieme: la statua della Libertà, il Ponte di Brooklyn. Il consiglio è stato del mio insegnante di inglese e ci è sembrato un buon modo per ottimizzare i tempi, visto anche il fatto che tutti gli isolotti come Ellis Island sono chiusi per manutenzione dopo l’ultimo uragano e rientreranno a pieno regime solo con il prossimo 4 luglio.
La fila è lunga e di battelli ne partono un paio all’ora. Abbiamo scelto la Semi-Cruise, perché come semprela virtù sta nel mezzo (fra il giro lunghissimo e quello breve). In fila per questa trappolona per turisti un pensiero prende forma. Più che altro una domanda: ma perché non sono mai partite le crociere nel nostro Golfo. Si potrebbero portare i turisti nell’insenatura del porto, fino a vedere nitidamente il profilo di Ischia e indicare quello di Capri e Procida senza sbagliarsi. Si potrebbero vedere da un’altra prospettiva Posillipo e Bagnoli. Raccontare che quel palazzo è il fulcro di una delle più riuscite produzioni della televisione pubblica italiana. Quella che il nonno vedeva nel suo soggiorno beige mentre mischiava le carte napoletane senza giocarci mai, e che io guardo solo adesso a quasi mille chilometri da lì e forse proprio per questo. 



Il sole oggi è proprio forte, forse per questo mi viene in mente Napoli e Un posto al sole. La fila scorre e saliti su questa barca ci accorgiamo che di posti all’aperto non ce ne sono più. Ingenuamente penso, non sarà un problema stare in piedi, quand’è che ho fatto le foto da seduta?! Fiotte di turisti cinesi – perdonatemi forse è meglio asiatici – corrono ad accaparrarsi le ultime sedie spostandole dall’interno agili come gazzelle. Il barbuto speaker della crociera nel frattempo non aveva mai smesso di parlare di quello che avevamo intorno: bla bla bla. [Questo è solo l'inizio del dramma, vi consiglio di andare avanti nella lettura]. Inizia a dirci poi che non possiamo stare, che dobbiamo scendere al piano di sotto. Forse c’è ancora qualche sedia, proviamo a vedere... Eh no, non potere portarle, dobbiamo partire, scendete al piano di sotto. 

Qualcosa di atavico appartenente al mio famoso omonimo mi porta a pensare quando tutto sembra perduto ma la reputo un’ingiustizia: niente per me, allora niente per nessuno. Così chiedo al barbuto signore che si allarma e sbraccia per farci scendere se quelle sedie davanti a me erano già lì. Il barbuto con gli occhiali scuri dice che avrebbe chiamato la polizia. E chiamala!! Call the policeeeeeee! Ho pagato fin troppi soldi per stare dientro a un vetro con la puzza di umido. Call the police men! Il barbuto si dilegua all’interno e la barca salpa. I turisti sono ammutoliti tranne la furbona che nel frattempo sta sloggiando con la sua sedia inappropiatamente spostata dopo la mia gentile segnalazione. Una scena veramente pulp che poteva continuare con il lancio della suddetta nel fiume Hudson se non se ne fosse andata dopo il mio “It’s for everyone!” (il fatto che noi non potessimo stare al piano di sopra). 




Le foto sono venute comunque bene e – come dicono tutti – la Statua della Libertà è veramente molto più piccola di come uno se la immagina. Il ponte di Brooklyn lo distingui grazie al famoso chewing-gum e ti chiedi: ma perché questo ponte e non un altro?

Al termine del viaggio qualcuno ha addirittura dato la mancia allo speaker barbuto (in vacanza siamo così spensierati da dare la mancia per qualsiasi cosa a chiunque), del resto aveva solo ciarlato tutto il tempo con battute per cui non rideva nessuno e indicato la pizzeria più antica di NY (ipotizzo un accordo fra pizzeria e barbuto con spartizione dell’introito). Io al termine del giro ho qualche foto in più e soprattutto qualche amico in più in giro per il mondo.


Il tempo stringe bisogna ottimizzare. Via al Greenwich Village dove c’è una statua di Garibaldi (Garibaldi?!), poi toccata e fuga a China Town e Little Italy (se potete veramente lasciate stare perché non c’è oramai più nulla da vedere). Doccia e poi sushi a Manhattan con annesso giro a quel paese dei balocchi che è Barnes & Noble fra libri, musica ed elettronica alleggerite dal dollaro e dall’iva.