A Napoli tutti sono in
maniche corte ed è facile distinguere chi viene da fuori. Il mio benvenuto è
fatto di abbracci e due sfogliatelle, una riccia e una frolla. Quasi un
antidoto per far ritornare in circolo la linfa giusta della città e sentirsi
meno straniero. Per lo stesso motivo il tempo di tornare a casa e la sera c’è
una grande rimpatriata in pizzeria. Al cameriere viene raccomandato il nostro
tavolo dall’amico Gino e tutti sono felici e sazi. I primi tempi a Milano mi
sorprendevo di come nella socialità non si proponesse “Andiamo a mangiare la
pizza”. Noi lo usiamo anche se poi non la mangiamo la pizza. È per dire ci
vediamo, stiamo insieme, parliamo e ci facciamo sicuro quattro risate.
Una chiacchierata in
inglese via Skype è la strada giusta verso l’America, anche se inventi qualche
parola. Inizi a scioglierti e l’orecchio si abitua. L’importante è che ad
aspettarti ci sia un’altra pizza con un altro giro di persone che non vedi da
tanto e ti mancano. Per aggiornarsi sulle novità e su quello che non cambia
mai. Passeggiando su Piazza Medaglie d’oro notavo come nella moltitudine fosse
assente una fascia d’età in particolare, la mia. I giovanissimi sono tutti lì
in questa serata tiepida che annuncia l’estate. Prendono la metropolitana dalla
periferia e si riversano qui. È sempre stato così, c’è la gelateria, ci sono i
bar, il traffico è lento. Qualche pub nelle taverse, pizzerie pienissime dove
ti danno del voi. Potevi fare su e giù via Luca Giordano sperando di incontrare
qualcuno a cui avevi pensato tutta la settimana e che senza Facebook o i
telefonini che iniziavano solo a spuntare nelle mani di alcuni e non di tutti,
potevi solo immaginare più bello, più divertente e più alla moda di come in
realtà fosse. I “grandi” poco sotto o poco sopra i 40 erano lì. Consapevoli e
vestiti bene, irrimediabilmente abbronzati anche in primavera. Nel mezzo chissà
dov’erano a passare quel fine settimana un po’ festivo. La mia ipotesi è che
quella sia la fascia d’età degli emigranti. Milano? Roma? Londra? Dove sono i
napoletani dai 25 ai 35 anni?!
“Pronto Rossopomodoro? Mi
servirebbe un tavolo da 10 persone, in un posto tranquillo che abbiamo una
bimba piccola con noi e poi... ce la fate vedere la partita? Non è per me ma
per i maschi del gruppo, lei capirà...” “E certo non si preoccupi, me la vedo
io. Gennà spuost chistu tavolo! A stasera”. Avevo un nuovo amico, era bastata
una telefonata. Da noi è così, questa è una ricchezza che dobbiamo coltivare e
tenere viva. Infatti il tavolo era il migliore ed è venuto a salutarci e a chiederci
più volte come andasse: “Tutto bene Marianna?”. Le persone entravano in
continuazione e i tavoli appena vuoti venivano riempiti senza soluzione di
continuità: acqua, menù, pizza, caffé. Acqua, antipasto, spaghetto scuiè sciuè,
amaro. Mentre il Napoli vinceva 2 a 0,
non importa con chi.
Quando parti? E quante
ore sono? Non lo so e non lo voglio sapere. Non avevo mai fatto un volo così
lungo, ma tante persone lo fanno quindi si sopravvive. Il più lungo lo avevo
fatto per il Portogallo (qui le 10 cose che non dimenticherò del Portogallo), due ore e mezzo. Bazzeccole.
Quando ho cercato su
Google “cosa fare nei voli intercontinentali” una delle prime parole uscite è
stato “trombosi”. Tanto per stare tranquilli. “Per scongiurare la trombosi
prendere mezza aspirina prima di partire”, altri consigli erano vestirsi comodi
così – perché prendo sempre alla lettera i consigli che mi sembrano sensati –
ho scucito addirittura un piccolo bottone della camicia. Me lo figuravo
piantato nella schiena tutto il viaggio e mi immaginavo le maledizioni che mi
sarei autoinflitta se non lo avessi sradicato prima del decollo. “Bevete molto
e idratatevi prima di partire, in aereo ci si gonfia e disidrata” io ho bevuto
fino a non poterne più e consumato la tutta la Nivea che avevo in casa
versandomela addosso copiosamente. Nessuno però mi aveva detto di non accettare
il cibo in aereo. Quello è la fonte principale di malesseri vari ed eventuali.
Il mio consiglio è quello di tenere il solito abbigliamento, andare cauti con
la crema che potrebbe servire la prossima estate ma non mangiare quelle
scatolette dal packaging invitante (solo quello) offerte a bordo. Portatevi un
panino, biscotti, caramelle. Ma rispondete con un sorriso e un “No grazie”
all’hostess che vi porge la scatoletta con il pasto. La prima scatoletta era
una specie di pizzetta, tipo una bruschetta. Sopra c’era una spatolata di
pesto, sormontata da qualche pomodoro schiacciato dal formaggio con il maggiore
peso specifico del mondo. La seconda scatoletta era pollo (forse) e spaghetti.
Per fortuna le luci erano piuttosto basse e i miei ricordi riguardano quello
che ho potuto solo intuire.
All’ingresso sul volo
intercontinentale mi sono detta: “Tutto sommato sono larghi i posti e ci si può
stendere, chessaramai!”. Era la prima classe, o addirittura la premium.
Proseguendo verso la coda lo scenario è cambiato. Sedili sempre più stretti e
proporzionalmente più persone che si arrabbattavano con il bagaglio a mano alla
ricerca anche loro di qualcosa di essenziale da cui non separarsi nello spazio
fra l’accensione e lo spegnimento della spia della cintura. Alla mia destra il
francese scaccolateur. Che si è
ininterrottamente scaccolato per oltre 7 ore causandomi nausea e impossibilità
a chiudere occhio per tutto il viaggio. Ovunque tu sia folle scaccolateur sappi
che io ti aborro. Così ho visto due film che non avrei visto neanche sotto
tortura: Twiligt (e chissà quale episodio della saga) e 007 Skyfall.